Cos’è l’email scraping (definizione e funzionamento)
L’email scraping – chiamato anche email harvesting – è la pratica di raccogliere automaticamente indirizzi email da fonti online. In parole semplici, significa usare software o script (noti come scraper, bot o harvester) per scandagliare pagine web, social network, database pubblici o altri documenti digitali alla ricerca di stringhe di testo che corrispondono al formato di un indirizzo email. Questi programmi possono seguire link da un sito all’altro e setacciare grandi quantità di pagine in breve tempo, costruendo elenchi di contatti email trovati lungo il percorso. Spesso lo scraping si spinge oltre una singola fonte: ad esempio, alcuni scraper utilizzano i motori di ricerca stessi, lanciando query automatizzate per trovare pagine che contengono indirizzi email, e poi estraggono quei dati.
Come funziona in pratica? Immagina un web crawler simile a quelli dei motori di ricerca: visita un sito, ne copia il contenuto HTML e cerca qualsiasi testo che abbia la forma di un’email (ad esempio “[email protected]”). Ogni indirizzo trovato viene “raccolto” e aggiunto a una lista. Alcuni strumenti avanzati possono anche estrarre informazioni correlate, come il nome associato all’email, numeri di telefono o profili social collegati. Il processo è in gran parte automatizzato: invece di copiare manualmente indirizzi da una pagina web, il software lo fa per te, anche su centinaia o migliaia di pagine.
Vale la pena chiarire che lo scraping di email di per sé non invia alcuna email: è solo una tecnica di raccolta dati. Tuttavia, il motivo per cui viene fatto è spesso inviare messaggi a quegli indirizzi (ad esempio per campagne di email marketing). Ed è qui che nascono le maggiori problematiche legali ed etiche. L’email scraping è un coltello a doppio taglio: da un lato può avere scopi legittimi e utili, dall’altro è tristemente noto perché usato da spammer e malintenzionati.
Perché qualcuno dovrebbe fare scraping di email? I motivi possono essere diversi: c’è chi lo utilizza per compilare velocemente una mailing list di potenziali clienti, chi per fare networking e ricerca di contatti B2B, chi per raccogliere dati per analisi o studi di mercato. Ad esempio, un’azienda potrebbe estrarre email dai profili pubblici LinkedIn o dagli iscritti a un forum di settore per identificare lead interessati ai propri servizi. Esistono anche casi virtuosi: giornalisti o ricercatori che collezionano indirizzi email pubblicati su siti istituzionali per poi contattare esperti, oppure sviluppatori che creano directory di professionisti da fonti pubbliche. Quindi sì, esistono usi leciti e non necessariamente negativi.
Purtroppo, però, l’intento più comune (e problematico) è raccogliere un gran numero di email per inviare comunicazioni non richieste – in altre parole, spam. Molti spammer e cybercriminali hanno automatizzato la raccolta di indirizzi per lanciare campagne massive di phishing o pubblicità indesiderata. Questo abuso ha reso l’email scraping una pratica controversa, spesso associata a violazioni di privacy e attività illecite. Tanto che in molti contesti la domanda “È legale raccogliere email online?” nasce proprio dal timore di sconfinare nello spamming o nell’illegale.
Riassumendo la definizione: lo scraping di email è una tecnica (né buona né cattiva in assoluto) per estrarre indirizzi di posta elettronica dal web in modo automatizzato. Come ogni strumento, va usato con responsabilità. Nei prossimi paragrafi vedremo quando questo strumento può essere usato lecitamente e quando invece diventa illegale, alla luce delle normative vigenti e delle migliori pratiche.
Normativa: GDPR, privacy e leggi su email marketing in Italia
Parliamo ora di legge. In Europa (e dunque in Italia) la disciplina chiave è il GDPR – il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (UE 2016/679) – insieme alle norme nazionali che recepiscono la cosiddetta direttiva ePrivacy (Direttiva 2002/58/CE) per le comunicazioni elettroniche. Inoltre, in Italia c’è il D.Lgs. 196/2003 (Codice Privacy), aggiornato dal D.Lgs. 101/2018, che integra il GDPR su aspetti specifici come le comunicazioni promozionali via email. Prima di farti spaventare da sigle e articoli, vediamo concretamente cosa prevedono queste normative riguardo allo scraping e all’utilizzo di indirizzi email raccolti online.
Email = dato personale: cosa implica il GDPR
La prima cosa da capire è che un indirizzo email è considerato un dato personale (a meno che non sia un’email aziendale generica tipo [email protected], ma se contiene nome/cognome o identifica una persona, rientra nei dati personali). Il GDPR tutela i dati personali a 360 gradi: ogni volta che “tratti” (cioè raccogli, conservi, usi) informazioni che identificano una persona fisica, devi rispettare precisi obblighi. Questo vale anche se i dati sono pubblici su internet. Dunque, estrarre email dal web significa effettuare un trattamento di dati personali e richiede una base giuridica lecita e l’osservanza di principi come trasparenza e finalità.
Attenzione: il fatto che un dato sia pubblico non significa che sia “libero”. Su questo il Garante Privacy italiano è stato chiaro, affermando che prelevare dati personali da fonti pubblicamente accessibili senza autorizzazione può violare il GDPR. In altre parole, anche se trovi un’email su un sito web pubblico, non sei automaticamente autorizzato a catturarla e utilizzarla a piacimento, soprattutto se l’uso che ne farai è inviargli comunicazioni commerciali non richieste.
Il GDPR non menziona esplicitamente il “web scraping”, ma stabilisce regole generali sulla raccolta di dati personali. In sintesi, per rispettare la legge dovresti: avere il consenso esplicito dell’interessato (o un’altra base giuridica valida) per raccogliere e usare quei dati; raccogliere dati solo per finalità specifiche e legittime; informare la persona su quali dati stai raccogliendo e perché. Capisci bene che nel contesto dello scraping di email per marketing queste condizioni sono difficili da soddisfare: raramente chi fa scraping chiede il consenso preventivo a ciascun individuo (sarebbe un controsenso, li stai raccogliendo proprio perché non hai già un contatto con loro), e informare ogni persona dopo aver preso l’email è logisticamente complesso – anche se, a rigore di GDPR, ci sarebbe l’obbligo di informativa ex art.14 quando i dati non sono ottenuti direttamente dall’interessato.
Esistono basi giuridiche alternative al consenso? In teoria sì, il GDPR prevede anche il legittimo interesse come possibile base per trattare dati personali, e anzi nel Considerando 47 menziona esplicitamente che “l’interesse legittimo può sussistere, ad esempio, nel caso di trattamento di dati personali per finalità di marketing diretto”. Alcuni potrebbero dunque pensare: “Bene, allora posso raccogliere email senza consenso appellandomi al mio legittimo interesse commerciale a trovare clienti.” Ma attenzione: quando si parla di invio di comunicazioni elettroniche (email, SMS, etc) a scopo promozionale, interviene la normativa ePrivacy che in Europa impone il consenso dell’utente come regola generale, superando l’approccio più flessibile del GDPR. In altre parole, per le email promozionali la legge speciale richiede comunque il consenso preventivo, e il legittimo interesse non può essere usato per giustificare spam. Lo ha ribadito anche il Garante italiano in più provvedimenti: il consenso resta la base imprescindibile per inviare email commerciali a chi non hai mai contattato prima.
Riassumendo dal lato GDPR/privacy: lo scraping di per sé non è vietato, ma se raccoglie dati personali devi rispettare gli obblighi di legge. Senza una base legittima (che, per il marketing diretto, è praticamente solo il consenso salvo eccezioni di cui sotto) stai violando la normativa. Inoltre, il GDPR impone il principio di minimizzazione e finalità: non dovresti usare dati raccolti per uno scopo diverso da quello originale senza permesso (es. prendere email da un registro pubblico creato per finalità istituzionali e usarle per fare pubblicità è considerato “purpose shifting” illecito). E non dimenticare i diritti degli interessati: anche se raccogli email da fonti pubbliche, le persone hanno diritto di sapere che le hai nei tuoi archivi, di chiederne la cancellazione, ecc. – diritti difficili da garantire se stai operando “sottotraccia”. Più avanti vedremo come mitigare questi problemi, ma prima chiariamo l’altra faccia della medaglia normativa: le leggi anti-spam e sul marketing via email.
Consenso, spam e soft opt-in: le regole per l’email marketing
Oltre al GDPR, chi vuole inviare email commerciali deve rispettare le norme sulle comunicazioni indesiderate. In Italia e in Europa, inviare email promozionali a qualcuno senza il suo consenso esplicito è generalmente illegale. Questa è la regola d’oro sancita dall’art. 130 del Codice Privacy italiano, che recepisce la direttiva ePrivacy. Tradotto: non puoi inviare newsletter, offerte o messaggi di marketing a mezzo email se prima la persona (o azienda) non ti ha dato il permesso. Le uniche eccezioni riguardano casi molto specifici, come vedremo tra un attimo.
Il Garante Privacy lo ha sottolineato anche di recente, sanzionando aziende che avevano raccolto indirizzi email da elenchi pubblici online e inviato pubblicità senza consenso. In un caso del 2023, ad esempio, una società aveva estratto email di professionisti da siti web e registri pubblici, sostenendo di avere un legittimo interesse a contattarli e richiamando il Considerando 47 GDPR. Il risultato? Multa e stop al trattamento: l’Autorità ha ribadito che non è lecito inviare comunicazioni promozionali via email senza consenso, nemmeno se gli indirizzi provengono da fonti pubbliche come registri, elenchi o siti web accessibili a chiunque. In più, ha chiarito che la presenza di dati personali su elenchi pubblici o social network non autorizza il loro utilizzo per fini di marketing, poiché queste finalità sono incompatibili con lo scopo originale della pubblicazione e oltre le legittime aspettative dell’interessato. Insomma, il fatto che un professionista pubblichi la propria email sull’albo o che un utente scriva il proprio contatto su un forum non significa affatto che accetti di ricevere pubblicità. Dal punto di vista legale, senza una manifestazione di consenso, quell’uso è considerato spam.
Vediamo ora l’unica eccezione importante prevista dalla legge italiana: il famoso soft opt-in (o “soft spam”). Si tratta di quanto previsto dall’art. 130, comma 4, del Codice Privacy. In base a questa regola, puoi inviare comunicazioni commerciali via email senza aver raccolto un nuovo consenso solo se: (1) hai ottenuto quell’indirizzo email nel contesto della vendita di un prodotto o servizio (quindi il destinatario è già tuo cliente); (2) le tue email riguardano prodotti o servizi analoghi a quelli già acquistati da quella persona; (3) l’interessato, al momento della raccolta del dato, è stato informato che avrebbe potuto opporsi all’uso dell’email per fini promozionali e gli viene sempre data un’opzione facile per disiscriversi. In pratica, il soft opt-in ti permette di mandare offerte sui tuoi prodotti ai tuoi clienti attuali senza dover chiedere loro ogni volta il permesso, ma solo finché rispetti quelle condizioni. Appena esci da quel perimetro (ad esempio contatti qualcuno che non è tuo cliente, oppure promuovi qualcosa di completamente diverso da ciò che aveva comprato), torni nella regola generale: serve il consenso.
È importante capire che il soft opt-in non è un “via libera” allo scraping: vale solo per chi ha una relazione commerciale pregressa. Se stai pensando di sfruttarlo per inviare email a contatti che hai trovato online ma che non ti conoscono, sappi che non funziona così. Il Garante ha espresso che questa eccezione non si applica se non c’è un rapporto precedente tra mittente e destinatario. Anche nel caso dei professionisti contattati dall’azienda multata, la difesa aveva provato a invocare l’art.130(4) ma l’Autorità ha rigettato la tesi proprio perché quei destinatari “non avevano alcun rapporto precedente” con l’azienda, né potevano aspettarsi di ricevere quelle email.
In sintesi, per fare email marketing lecito devi avere il permesso del destinatario prima di inviargli email, a meno che non sia già un tuo cliente attuale. Dimentica la speranza di trovare qualche scappatoia nel GDPR: per le email promozionali la strada è segnata dal requisito del consenso esplicito. Questo pone un enorme limite all’utilizzo “selvaggio” dello scraping di email: se intendi usare quegli indirizzi per campagne commerciali generalizzate, senza avere consensi, stai sostanzialmente preparando una spedizione di spam, con tutti i rischi legali (e reputazionali) annessi.
Prima di passare ai casi pratici, un’ultima distinzione normativa importante: B2C vs B2B.
Scraping di email in ambito B2B (business): vale la stessa regola?
Molti si chiedono se le regole cambino quando i destinatari non sono consumatori privati ma aziende o professionisti (il cosiddetto email marketing B2B). Esiste l’idea diffusa che “se mando email a partite IVA o aziende è diverso, posso farlo anche senza consenso”. Cerchiamo di fare chiarezza.
Da un lato, il GDPR tutela i dati delle persone fisiche, quindi formalmente non si applica ai dati di persone giuridiche (come l’email generica di un’azienda). Questo significherebbe che inviare una mail a [email protected] non costituisce trattamento di dati personali, e dunque il GDPR non c’entra. Inoltre, la direttiva ePrivacy lascia ai singoli Stati la facoltà di decidere se proteggere anche le comunicazioni verso le persone giuridiche. Alcuni Paesi UE infatti consentono l’opt-out per le email B2B (ovvero puoi mandare email ad aziende senza consenso purché diano la possibilità di disiscriversi).
In Italia, però, la situazione è peculiare: il nostro Codice Privacy estende la richiesta di consenso anche alle comunicazioni verso “contraenti” che possono essere soggetti collettivi. L’art. 130 infatti parla di consenso del contraente o utente sia per le persone fisiche sia, di fatto, per quelle giuridiche. Di conseguenza, la prassi italiana equipara l’email marketing B2B a quello B2C: serve comunque il consenso preventivo dell’azienda destinataria. Non solo: se l’indirizzo email aziendale è nominativo (es. [email protected]), di fatto stai trattando il dato personale di quella persona e quindi rientri a pieno nel GDPR oltre che nelle norme anti-spam.
Cosa significa questo in concreto? Che anche raccogliere indirizzi email di aziende o professionisti dal web non ti autorizza a spammarli. Ad esempio, potresti pensare: “Ho trovato l’email di un direttore acquisti su una directory di settore, è un contatto business quindi posso proporgli i miei servizi”. Dal punto di vista strettamente legale, anche quel direttore acquisti ha diritto a non ricevere comunicazioni promozionali non sollecitate, esattamente come un privato cittadino. Il Garante ha esplicitamente affermato che senza consenso non si possono inviare email promozionali neppure se i dati provengono da siti web o elenchi pubblici professionali, e ha sanzionato aziende per spam B2B allo stesso modo. La logica è che pure un professionista ha diritto alla “privacy delle comunicazioni” e a non essere disturbato da messaggi commerciali indesiderati.
Detto ciò, nella pratica molte imprese fanno attività di cold email B2B (contatto a freddo di altre aziende) cercando di inquadrarla non come “spam” ma come normale comunicazione commerciale tra due parti potenzialmente interessate a fare affari. Ad esempio, contattare via email un’azienda per proporre una collaborazione o presentare un servizio potrebbe essere visto come simile a una telefonata commerciale. Alcuni consulenti suggeriscono che un singolo contatto personalizzato, rivolto a un responsabile aziendale e pertinente al suo business, possa rientrare in una sorta di legittimo interesse (specie se l’indirizzo è pubblico e professionale). Tuttavia, questa rimane un’area grigia e rischiosa: formalmente, in Italia, qualsiasi email promozionale senza consenso è vietata, salvo rapporto pregresso. Se l’azienda destinataria si lamenta, il mittente può incorrere in sanzioni.
In conclusione, lo scraping di email B2B non aggira le regole: se raccogli indirizzi di aziende o professionisti dal web, puoi usarli legalmente solo in modi molto limitati (per esempio per contattare una tantum qualcuno in forma personalizzata e non ricorrente, sperando di non infastidire – e preparandoti a scusarti e cancellare il contatto se non interessato). Per campagne marketing su larga scala via email, invece, servirà sempre aver ottenuto il consenso dei destinatari, anche se sono aziende. Nella sezione consigli vedremo come muoversi con prudenza in questi casi.
Dopo questa necessaria panoramica normativa, passiamo ad analizzare i casi concreti in cui lo scraping di email può considerarsi legale o meno, con esempi pratici.
Quando lo scraping di email è legale e quando è vietato
Abbiamo compreso che la legalità dello scraping di email dipende principalmente da come e per cosa vengono utilizzati gli indirizzi raccolti. Vediamo allora alcune situazioni tipo, distinguendo quelle lecite da quelle illecite o sconsigliate.
Casi in cui lo scraping di email è legale (o accettabile)
- Dati non personali o usi non commerciali: Se estrai solo dati non personali o informazioni aggregate, il GDPR non si applica affatto. Ad esempio, raccogliere indirizzi email generici come [email protected], senza riferimenti a individui, non comporta dati personali (attenzione però: se quell’indirizzo lo legge una persona fisica identificabile, potresti comunque toccare la sua sfera personale). Un altro esempio: uno studio statistico che conteggia quante email “@dominio.it” esistono su certe pagine, senza conservare i dati individuali, non viola alcuna privacy. In generale, estrarre informazioni pubbliche per fini di ricerca statistica, senza identificare o contattare persone, è lecito e fuori dall’ambito GDPR. Molti casi di web scraping legale riguardano proprio dati non personali: prezzi di prodotti, recensioni anonime, dati di mercato. Se ti limiti a questo, nessun problema. Ma appena entri nel territorio di dati personali e contatti (nome, email, telefono), devi stare alle regole viste sopra.
- Con il consenso dell’interessato: Il caso più semplice (anche se rarissimo in pratica) è quando hai il consenso preventivo. Ad esempio, ipotizza di gestire un sito dove gli utenti pubblicano il loro profilo (inclusa email) e accettano esplicitamente che altri possano contattarli per offerte di lavoro. In tal caso, se qualcun altro “scrapa” quei dati per contattare gli utenti, si potrebbe considerare che il consenso all’uso è implicito nelle condizioni accettate. Un esempio reale: alcuni siti di annunci pubblici mostrano l’email dei venditori; chi copia quell’email per fare un’offerta sul prodotto in vendita sta usando il contatto per la finalità prevista (la compravendita) e quindi è legittimo. In generale però, quando c’è un consenso, non si parla neanche più di scraping “a freddo” – è semplicemente un uso autorizzato del dato.
- Soft opt-in / contatti da clienti esistenti: Abbiamo descritto la deroga del soft spam. Ebbene, se raccogli indirizzi email di tuoi clienti (ad esempio li esporti dal tuo CRM o dal tuo e-commerce) e li utilizzi per inviare comunicazioni su prodotti o servizi simili a quelli che hanno già acquistato, sei nel lecito purché rispetti le condizioni (informativa, opt-out chiaro in ogni mail, ecc). Attenzione: qui non parliamo propriamente di “scraping dal web”, perché i dati li hai ottenuti direttamente dai clienti, ma vale la pena menzionarlo tra i casi leciti: non hai bisogno di un nuovo consenso per fare upselling tramite newsletter su quella base clienti. Ovviamente resta vietato ampliare quella lista con indirizzi trovati online che non siano tuoi clienti: non puoi “mescolare” contatti consenzienti e non e dichiarare che è soft opt-in per tutti.
- Contatti aziendali pubblicati per finalità di contatto business: Un caso un po’ borderline ma generalmente accettato: se un’azienda (o un professionista) pubblica volontariamente il proprio indirizzo email invitando a essere contattata per motivi di lavoro, allora usare quell’email per uno scopo coerente potrebbe essere considerato lecito o almeno tollerato. Ad esempio, se sul sito di un fornitore trovi “Scrivi a [email protected] per richiedere un listino”, tu puoi certamente scrivere a quell’email per richiedere il listino. Oppure, su LinkedIn un professionista indica la propria mail dicendo “contattami per opportunità professionali”: se lo contatti per una proposta lavorativa pertinente, sei nell’ambito delle sue aspettative. Questo rientra nelle comunicazioni B2B normali, non percepite come spam perché attinenti all’attività dell’interessato. Anche qui, però, il confine è sottile: contattare un’azienda su un canale ufficiale (tipo la mail commerciale) è ben diverso dal prendere la mail personale di un dipendente e fargli pubblicità random. Nel dubbio, mantieni il contatto su un piano personale e rispettoso (es. “Gentile Dott. Rossi, ho trovato i suoi riferimenti sul sito della sua azienda. Mi permetto di scriverle perché…”). Una singola email mirata, contestuale e non automatizzata, difficilmente scatenerà accuse di spam, soprattutto se il destinatario vede un interesse legittimo nella proposta. L’importante è fermarsi se non si riceve risposta o se viene espressa disapprovazione.
- Scraping a fini interni e analitici (senza invio di email): Può capitare che un marketer faccia scraping di email non per inviare messaggi, ma per analisi o arricchimento dati. Esempio: estraggo liste di email da un forum solo per capire quanti utenti usano certi domini email (gmail, yahoo, ecc) e tarare le mie campagne in base a quello. Oppure incrocio le email raccolte con altri database per profilare un pubblico (senza però contattare nessuno direttamente). Sono scenari rari, ma in teoria se non c’è comunicazione indesiderata e i dati restano in forma aggregata, il rischio legale è molto minore. Bisogna comunque fare attenzione: anche detenere archivi di email personali “scrapati” senza un motivo legittimo è un trattamento illecito. Se quei dati servono solo a estrarre statistiche anonime e poi li cancelli, potresti rientrare in eccezioni del GDPR (come il trattamento per fini statistici in forma aggregata). In ogni caso, è una situazione che riguarda più gli analisti di dati che i marketer.
- Scraping su richiesta dell’utente stesso: C’è poi il caso in cui il proprietario dell’indirizzo email ha interesse a diffondere il suo contatto. Ad esempio, immagina un freelance che utilizza Mailerfind per raccogliere le email pubbliche degli iscritti a un certo gruppo Facebook, ma solo dopo aver avuto l’autorizzazione degli amministratori del gruppo o degli utenti (magari attraverso un’iniziativa in cui i membri hanno accettato di condividere i contatti per networking). In tal caso non c’è problema, perché stai semplicemente automatizzando una raccolta di dati con il beneplacito di chi vi è coinvolto. Queste però sono situazioni molto specifiche e concordate, non “scraping selvaggio”.
In generale, lo scraping di email è sicuro e legale quando non viola la privacy o le aspettative di nessuno. Se estrai dati anonimi o non li usi per scopi commerciali, sei tranquillo. Se invece ottieni indirizzi con il consenso o almeno con una chiara aspettativa di essere contattati, sei in un territorio ragionevolmente sicuro, pur dovendo comunque gestire bene la comunicazione (ad esempio inserendo l’informativa privacy quando poi contatti la persona).
Casi in cui lo scraping di email è illegale o sconsigliato
- Raccolta di email per invio di spam/promozioni senza consenso: Questo è il classico caso ed è decisamente illegale. Se usi uno scraper per raccogliere centinaia o migliaia di indirizzi email generici dal web e poi lanci una campagna email proponendo il tuo prodotto, stai violando l’art.130 del Codice Privacy e il GDPR, configurando spam. Non importa se gli indirizzi erano pubblicati su un sito: come abbiamo visto, la legge richiede comunque il consenso. E non importa se il tuo messaggio “potrebbe interessargli”: la valutazione non spetta a te ma al destinatario, che doveva avere la possibilità di scegliere prima. Questo scenario è esattamente quello che non vorresti: buttare via la tua reputazione mandando mail non richieste, col rischio di incorrere in lamentele e multe. Per darti un’idea, le sanzioni GDPR per trattamenti illeciti (come l’invio massivo di email senza base legale) possono arrivare fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo, nei casi più gravi. Più realisticamente, il Garante potrebbe infliggere multe nell’ordine di decine o centinaia di migliaia di euro, come già avvenuto per campagne di spam telefonico o via mail. In poche parole: scraping + invio massivo = illegale e fortemente sconsigliato.
- Vendita di liste di email scrapate: Ancora peggio del caso precedente: se oltre a raccogliere email, le rivendi o le condividi con terzi per fini commerciali, stai peggiorando la violazione. Innanzitutto, chi compra quelle liste e le usa per spam commette a sua volta un illecito, ma tu stesso potresti essere ritenuto responsabile come “fornitore” di dati ottenuti illegalmente. Alcune sentenze hanno stabilito che creare database di email a partire dal web e rivenderli comporta uso illecito di dati personali e concorre in eventuali sanzioni. Tra l’altro, spesso queste liste sono di bassa qualità (piene di contatti obsoleti o non pertinenti) e danneggiano chi le utilizza. Guadagnare dalla rivendita di dati scrapati non è legale e può costarti caro se vieni scoperto.
- Violazione di Termini di Servizio o misure anti-scraping: Oltre alle leggi sulla privacy, c’è un altro aspetto legale: molti siti web vietano espressamente lo scraping nei propri Termini e Condizioni. Se per raccogliere email devi infrangere le regole del sito (ad esempio superare un CAPTCHA, ignorare un file robots.txt che esclude certe pagine, o aggirare restrizioni di accesso), potresti incorrere in violazioni contrattuali o addirittura penali. Negli USA c’è stato il noto caso LinkedIn vs HiQ: LinkedIn cercò di bloccare una società che scrapesava i profili pubblici. In tribunale HiQ ha avuto la meglio sul fronte penale (nessuna violazione del CFAA, legge anti-hacking, perché i dati erano pubblici), ma resta che LinkedIn può ancora agire civilmente per violazione dei suoi termini. In Italia, usare bot su piattaforme social o siti potrebbe violare il contratto d’uso e portare a diffide o cause per accesso non autorizzato a sistemi informatici se si forza la mano. Anche il Garante italiano suggerisce ai siti di inserire clausole anti-scraping nei termini di servizio per tutelarsi. Quindi, se pensi di scrapare email da una piattaforma, controlla prima se lo permettono: se è esplicitamente vietato, a rigore stai agendo illegalmente (oltre che rischiare di essere bannato).
- Estrazione di dati “particolari” o sensibili: Finora abbiamo parlato di email generiche. Ma attenzione a non inciampare in categorie speciali di dati. Se incidentalmente stai anche raccogliendo informazioni sulla persona (ad esempio l’email è “[email protected]” e dal contesto deduci che è un medico, quindi un dato relativo alla sua appartenenza a un ordine professionale; oppure l’email appartiene a qualcuno e finisci per trattare anche dati sensibili correlati pubblicati accanto), rischi violazioni ancora più gravi. Il GDPR vieta di trattare dati personali sensibili (origine etnica, salute, convinzioni, ecc) salvo eccezioni specifiche. Dunque, non fare mai scraping di email nel contesto di dati sanitari, religiosi, politici ecc. (es: non estrarre email da un forum di malati per proporre cure miracolose – oltre che eticamente riprovevole, sarebbe illegale al massimo grado!).
- Spam mirato via PEC o canali “ufficiali”: Un caso particolare è l’invio di spam a indirizzi PEC (posta elettronica certificata) estratti dall’Indice pubblico delle imprese/professionisti. Su questo punto il Garante è intervenuto espressamente: ha dichiarato illecito usare le PEC prese dall’Indice nazionale per mandare pubblicità o proposte commerciali. La PEC è nata per comunicazioni istituzionali e legali, quindi intasarla di promo è vietato (oltre che altamente irritante per chi la riceve). Lo stesso vale per email istituzionali o canali ufficiali: non prendere l’email di un comune o di un ente pubblico per mandare proposte commerciali – si configura come spam verso una PA, con possibili conseguenze.
- Scraping massivo “alla cieca” senza target: Anche se a rigore non aggiunge nuovi illeciti, vale la pena citare come worst practice lo scraping indiscriminato di qualunque email si trovi, senza badare alla pertinenza. Oltre a essere illegale come visto, è anche strategicamente un disastro: manderesti comunicazioni a tanta gente fuori target, ottenendo pessimi risultati e segnalazioni di spam. Questo approccio “spray and pray” (spruzza e prega) è quello dei truffatori nigeriani, non di marketer seri. Se proprio vuoi utilizzare tecniche di raccolta contatti, fallo in modo mirato, come vedremo tra poco.
In poche parole, è vietato o altamente sconsigliato qualunque scenario in cui stai raccogliendo email all’insaputa delle persone per poi contattarle con fini promozionali senza il loro previo consenso. Questo è il cuore della questione legale: la tutela della privacy e della volontarietà nel ricevere comunicazioni di marketing.
Scraping lecito vs spamming: che differenza c’è?
A questo punto avrai capito che “scraping di email” e “spamming” non sono sinonimi, ma spesso possono sovrapporsi se non stai attento. Facciamo una distinzione netta per evitare equivoci:
- Lo scraping è un metodo di raccolta dati. Di per sé è neutro: puoi fare scraping di qualsiasi informazione pubblica sul web (email, numeri, prezzi, testi) e, se resti nei limiti tecnici e legali, non stai ancora “disturbando” nessuno. Ad esempio, se io estraggo 100 email da siti web e le salvo in un file Excel, nessuna persona ha ancora ricevuto nulla da me. Potrei aver violato qualche regola di privacy se quei dati li conservo senza motivo, ma il vero impatto verso terzi è ancora nullo. Lo scraping quindi diventa problematico quando è finalizzato a un uso improprio.
- Lo spamming è un’azione di invio di comunicazioni indesiderate. Si configura spam quando mandi messaggi (email, SMS, chiamate) a destinatari che non li hanno richiesti e non hanno una relazione pregressa con te, in modo massivo o comunque ripetuto. Lo spam è ciò che la legge sanziona esplicitamente e che gli utenti odiano: caselle intasate di email commerciali non volute.
Come si collegano i due concetti? Spesso, chi fa spam ha ottenuto gli indirizzi proprio tramite scraping (o acquisto di liste che a loro volta derivano da scraping). Ma non è l’unico modo: potresti fare spam anche inviando email a caso (generando combinazioni di nomi utente, ad esempio), o contattando indirizzi presi da biglietti da visita senza permesso. D’altro canto, potresti fare scraping di email senza intenzione di spammare, per esempio per analisi come detto, o per fini buoni (immagina di raccogliere email di ONG dal loro sito per inviare una richiesta di partnership benefica – è comunque contatto non sollecitato, ma difficilmente sarebbe visto come “spam maligno”).
La differenza sostanziale sta nel rispetto e nella pertinenza. Uno scraping lecito si ha quando i dati raccolti vengono usati in modo conforme alle aspettative degli interessati o alle norme: ad esempio, raccolgo email di utenti che hanno dato il consenso a ricevere una newsletter – tecnicamente sto “scrapando” dal mio database CRM, ma ovviamente è lecito. Oppure uso uno scraper per estrarre gli indirizzi dei partecipanti a un convegno che sono stati resi pubblici sul sito (sapendo che probabilmente vogliono fare networking) e li contatto inviando materiale relativo a quel convegno. In questi casi, anche se l’automazione è coinvolta, non c’è “spam” perché o c’è un consenso, o un interesse condiviso, o almeno una chiara attinenza tra mittente e destinatario.
Il confine con lo spam sta quindi nell’assenza di permesso e rilevanza. Se mandi email massivamente senza permesso e senza un vero legame con i destinatari, allora stai spammando – indipendentemente dal fatto che tu abbia ottenuto gli indirizzi via scraping o in altro modo. E legalmente, come abbiamo visto, ciò ricade nelle pratiche proibite. Al contrario, se contatti qualcuno in modo mirato, con un messaggio personale e potenzialmente utile, e rispetti la sua volontà, non sei etichettabile come spammer anche se inizialmente il contatto non era “opt-in”. Ad esempio, nel B2B molti approcci di cold email cercano di non essere spam proprio puntando sulla personalizzazione e sul valore: se io scrivo a un’azienda dicendo “Ho letto il tuo sito e credo che il mio servizio X potrebbe farti risparmiare sui costi – se ti va parliamone, altrimenti scusa il disturbo”, sto cercando di creare una comunicazione desiderabile, o almeno rilevante. Non è detto che ci riesca, ma di sicuro è diverso dal mandare un volantino generico a 10.000 email in CCN.
Riassumendo: lo scraping lecito si inserisce in strategie di raccolta e utilizzo dati etiche e conformi (permessi, trasparenza, pertinenza); lo spamming è l’opposto, ovvero l’uso indiscriminato di dati per fare marketing aggressivo senza autorizzazione. Nel prossimo paragrafo vedremo proprio come utilizzare lo scraping in modo conforme e strategico, citando un esempio pratico di cold email da Instagram con l’ausilio di Mailerfind – così potrai capire come si può trovare un equilibrio tra sfruttare le potenzialità dello scraping e non scadere nell’illegale o nell’inefficace.
Scraping di email da Instagram e invio di cold email: il caso Mailerfind
Uno scenario molto diffuso oggi: estrarre email dai social network (es. Instagram) e contattare a freddo quegli utenti con una proposta commerciale. È legale fare ciò? E come si può fare in pratica senza incorrere nello spam? Ti racconto la mia esperienza personale con Mailerfind, uno strumento specializzato proprio nel trovare contatti su Instagram e nell’invio di cold email mirate, che utilizzo nel mio lavoro quotidiano.
È legale estrarre email da Instagram?
Instagram, come altri social, non mostra direttamente l’email degli utenti privati. Tuttavia, molti profili business o creator su Instagram rendono pubblico un indirizzo email di contatto (spesso c’è un pulsante “Email” sul profilo). Inoltre, esistono metodi per dedurre o scoprire email collegate a un account attraverso link nella bio, siti personali o servizi esterni. In linea di principio, se l’utente ha volontariamente reso pubblico un suo contatto su Instagram (ad esempio un influencer che scrive “📩 per collaborazioni: [email protected]” nella bio), quell’informazione è pubblica. Raccoglierla con uno scraper non è molto diverso dal copiarla a mano – tecnicamente non stai violando un’area privata, né stai “hackando” Instagram. Quindi, il purissimo atto di scraping in sé è lecito (Instagram potrebbe contrariarsi se fosse contro i loro termini, ma qui parliamo di prendere dati che l’utente stesso ha esposto).
La vera domanda è: posso legalmente usare quelle email per contattare le persone? Torniamo sempre al solito punto del consenso. Se quell’utente ha pubblicato la sua email “per collaborazioni”, implicitamente si aspetta di ricevere proposte – in tal caso mandare un’email presentandosi e proponendo una collaborazione rientra nelle aspettative legittime. Ad esempio, molti influencer mettono l’email proprio perché brand o agenzie li contattino per offerte di partnership: scrivergli a riguardo non sarà percepito come spam, anzi, spesso fa parte del gioco. Diverso è se prendi le email dei follower non pubbliche o di utenti qualsiasi e gli mandi pubblicità del tuo prodotto: quelli utenti non se l’aspettano e la vedranno come spam. Inoltre, come abbiamo stabilito, la legge richiede comunque consenso per inviare comunicazioni promozionali a persone fisiche. Quindi anche con i contatti Instagram c’è da stare attenti: il fatto che un email sia pubblica su un social non dà carta bianca per invii massivi di pubblicità. È necessario approcciare la cosa in modo strategico e conforme.
Come usare Mailerfind in modo etico e conforme
Mailerfind è uno strumento che ho iniziato a usare perché mi permette di automatizzare la lead generation su Instagram in maniera davvero efficiente. In pratica, la piattaforma consente di inserire un qualsiasi profilo Instagram (ad esempio quello di un influencer nel mio settore, o di un concorrente) e poi raccoglie per me gli indirizzi email e altri dati pubblici dei follower di quel profilo. Di solito, i follower di un certo account hanno interessi affini: se scelgo bene l’account “sorgente”, ottengo liste di potenziali clienti interessati al mio settore. Mailerfind estrae non solo le email (quando disponibili), ma anche altre informazioni utili come il nome utente IG, il numero di telefono, il sito web, la posizione geografica e persino gli interessi, se riesce a desumerli. Tutto questo da fonti pubbliche – sottolineo: Mailerfind non “buca” account privati, raccoglie ciò che è visibile (ad esempio, molti profili aziendali su Instagram mostrano l’email di contatto).
Una volta ottenuti questi dati, la vera forza di Mailerfind è che integra direttamente una piattaforma di invio email massivo (Mailerhub) pensata per il cold outreach. Significa che posso immediatamente preparare una campagna di email verso i contatti trovati, il tutto all’interno dello stesso tool. La piattaforma di invio è ottimizzata: ha filtri anti-spam, sistemi di invio graduale, tracciamento delle aperture e un tasso di consegna dichiarato del 97%. In pratica, è costruita per fare in modo che le mie email a freddo non finiscano in spam e che la reputazione del mio dominio mittente resti pulita (cosa fondamentale, perché basta qualche errore per far bloccare le tue email dai provider).
Ma come conciliare questo con la legalità e l’etica? Ecco come personalmente utilizzo Mailerfind in modo responsabile:
- Targeting accurato: Prima di tutto, scelgo con cura i profili Instagram da cui estrarre i contatti. Ad esempio, di recente ho promosso i servizi della mia agenzia di web marketing. Ho individuato un popolare account Instagram italiano che condivide consigli di business e marketing per piccole imprese (@lucenathor, per dire) – ipotizzando che i suoi follower siano titolari di attività o aspiranti imprenditori interessati al marketing. Usando Mailerfind, ho estratto i contatti dei suoi follower più pertinenti (quelli che avevano l’email pubblica in bio o collegata). Così ho ottenuto una lista di possibili lead molto mirati, invece di una massa generica di persone a caso. Questo è fondamentale: meno contatti ma più qualificati è sempre meglio che sparare nel mucchio. Inoltre, evito di includere chi chiaramente è un privato senza attinenza (se Mailerfind per ipotesi trovasse l’email di un utente qualunque che segue il profilo solo per curiosità e non ha interesse professionale, tendenzialmente lo scarto).
- Messaggi personalizzati e trasparenti: Una volta pronta la lista, preparo l’email di contatto. Qui sta l’arte per non sembrare spam: scrivo un’email personale, breve e che mostri subito valore e contesto. Ad esempio, nell’email in questione ho scritto qualcosa tipo: “Ciao [Nome], ti ho scoperto tramite la community di [nome profilo IG] su Instagram. Vedo che sei un imprenditore nel settore [X] – sul tuo profilo ho notato la tua passione per migliorare il marketing della tua attività. Anche io lavoro in questo campo: la mia agenzia aiuta business come il tuo a ottenere più clienti online. Mi sono permesso di contattarti perché ho preparato un breve report gratuito con alcune idee specifiche per aziende nel tuo settore, e credo potrebbe interessarti. Te lo mando volentieri, fammi sapere! In ogni caso, se preferisci non ricevere altre email da parte mia, ti basta cliccare qui sotto. Grazie del tuo tempo.”.Come vedi, menziono come ho ottenuto il contatto (Instagram), evidenzio un interesse comune e offro qualcosa di utile (il report gratuito) invece di subito vendere. Importantissimo: includo sempre una frase di opt-out gentile, del tipo “se non vuoi più ricevere email da me, clicca qui e non ti disturberò oltre”. Mailerfind/Mailerhub facilita questo inserimento dell’opzione di disiscrizione e gestione automatica delle liste. In questo modo, anche se inizialmente non avevo il consenso formale, sto dando al destinatario il pieno controllo: può ignorarmi, può dirmi “no grazie”, oppure – si spera – può essere interessato e rispondermi.
- Invii graduali e monitoraggio delle reazioni: Non sparo mai migliaia di email tutte insieme. Mailerfind consente di limitare il numero di invii al giorno, simulando un po’ un invio “manuale” per evitare di allarmare i filtri anti-spam. Ad esempio, posso decidere di inviare 50 email al giorno per 10 giorni invece di 500 in una volta. Inoltre, monitoro le aperture e le risposte: se vedo che nessuno apre o tutti cestinano, mi fermo e rivaluto l’approccio. Se qualcuno chiede di essere rimosso, lo rimuovo immediatamente. Questo è sia per rispetto sia per proteggere la reputazione: meno persone infastidite = meno segnalazioni di spam.
- Verifica e pulizia dei dati: Un altro aspetto cruciale: Mailerfind ha una funzione di verifica degli indirizzi email prima di inviare. Questo significa che controlla se le email estratte esistono davvero e se possono ricevere posta (riducendo i bounce, cioè i messaggi che tornano indietro). Ciò è importante perché inviare a indirizzi inesistenti peggiora la reputazione del mittente. Inoltre io stesso filtro la lista per togliere eventuali duplicati o contatti palesemente strani. Meglio una lista piccola e valida che enorme e piena di errori.
Grazie a queste accortezze, sono riuscito a usare lo scraping di email in modo conforme e profittevole. Ad esempio, dalla campagna descritta ho ottenuto alcune risposte positive e abbiamo avviato delle trattative commerciali. Nessuno mi ha insultato per spam (chi non interessato semplicemente non ha risposto o ha cliccato unsubscribe, e va benissimo così). Questo conferma che un’email a freddo ben fatta può aprire porte, purché si rimanga etici e rispettosi.
Mailerfind, dal canto suo, pubblicizza di voler offrire uno strumento etico per lo scraping e l’email marketing. Sul loro sito e blog trovi linee guida su come usare i dati in modo “pulito” e legale. Ad esempio, suggeriscono come estrarre contatti in modo mirato, verificare i lead e gestire follow-up automatici senza essere intrusivi. La piattaforma in pratica ti dà i mezzi tecnici per essere compliant, ma sta a te usarla correttamente. Non è che usando Mailerfind magicamente sei autorizzato a spammare: resta la tua responsabilità applicare quanto abbiamo discusso a livello normativo. Personalmente, apprezzo molto che abbiano integrato i controlli anti-spam e l’opzione di disiscrizione automatica, perché così anche un utente meno esperto viene guidato verso pratiche di invio più rispettose (ad esempio, non puoi dimenticarti di mettere il link di unsubscribe perché fa parte del template di Mailerhub).
E l’aspetto legale? Se segui lo schema che ho descritto, stai comunque operando un po’ in deroga alla lettera della legge (in teoria il consenso non ce l’hai), ma ti avvicini allo spirito della legge: contatti solo chi potrebbe essere interessato, fornisci subito la possibilità di rifiutare, e soprattutto non molesti ripetutamente chi non interagisce. In ambito B2B, questo metodo del “cold email responsabile” è abbastanza tollerato e diffuso. Finché i numeri sono contenuti e i messaggi pertinenti, è difficile che qualcuno ti denunci per una singola mail gentile. D’altronde, anche il Garante se interviene lo fa su campagne massicce e ripetute, non sul singolo approccio commerciale ragionevole. Chiaramente, se vuoi zero rischi legali, l’unica via sarebbe ottenere consensi espliciti prima di ogni invio – ma come procurarsi il consenso di qualcuno a cui devi ancora scrivere? È un paradosso. Per questo nella realtà dei fatti chi fa lead generation a freddo opera in questa zona “grigia chiara”: con buon senso e moderazione, riuscendo a generare business senza irritare e senza finire nel mirino delle autorità.
In sintesi, Mailerfind gestisce legalmente lo scraping su Instagram e l’invio di email cold fornendoti un ambiente controllato: raccoglie solo dati pubblici (rispettando quindi Instagram e la privacy base), ti dà strumenti per verificare e segmentare quei dati, e integra un sistema di invio con best practice anti-spam (link di opt-out, volumi limitati, deliverability alta). Sta poi a te scrivere contenuti onesti, mirare alle persone giuste e rispettare chi non è interessato. Facendo così, trasformi una tecnica potenzialmente “borderline” in una strategia di marketing eticamente sostenibile e anche efficace. Io posso testimoniare che funziona: nel mio quotidiano, Mailerfind mi ha fatto risparmiare ore di lavoro manuale e ha portato contatti concreti che si sono convertiti in clienti, il tutto senza farmi finire nello spam folder.
Consigli per usare lo scraping email in modo responsabile e profittevole
Chiudiamo la parte discorsiva con alcuni consigli pratici che ho imparato sul campo. Se vuoi sfruttare lo scraping di email senza avere guai e anzi traendone beneficio per il tuo business, tieni sempre a mente questi punti chiave:
- Informati sulle regole e resta aggiornato: La normativa privacy può cambiare e le interpretazioni evolvono. Abbiamo visto come il Garante emette linee guida (come quella del maggio 2024 contro lo scraping indiscriminato) e provvedimenti che chiariscono i confini leciti. Fai uno sforzo per restare aggiornato su GDPR e legge italiana (magari seguendo blog legali o usando servizi come Iubenda). In caso di dubbio, meglio essere prudenti. Non dare per scontato che “tanto lo fanno tutti”: spesso “tutti” lo fanno male. La compliance non è solo burocrazia, è anche qualità per la tua base contatti.
- Sii selettivo: qualità > quantità. Questo non mi stancherò di ripeterlo: meglio avere 50 contatti buoni e interessati che 5000 presi a caso. Quando fai scraping, imposta filtri, segmenta per settore, area geografica, interessi – qualsiasi criterio che affini la rilevanza. Evita di raccogliere indirizzi che chiaramente non c’entrano nulla col tuo obiettivo: sono solo rumore che aumenterà le possibilità di lamentele. Un pubblico ben definito ti permetterà di creare messaggi più mirati e graditi. Ad esempio, se vendi software per ristoranti, non ti serve l’email di un avvocato solo perché l’hai trovata online! Concentrati sui ristoratori.
- Fai sempre opt-in quando possibile: Lo scraping dovrebbe essere l’ultima risorsa, non la prima. È sempre meglio costruire liste in modo organico, facendo in modo che siano le persone a lasciarti l’email (magari tramite un form sul tuo sito, in cambio di un contenuto utile, ecc.). Lo so, qui parliamo di scraping perché magari hai fretta di trovare lead freschi – va bene, ma considera lo scraping come un modo per rompere il ghiaccio, dopodiché dovresti comunque portare quel contatto a darti un consenso vero. Ad esempio, dopo il primo contatto a freddo, se vedi interesse, chiedi esplicitamente se desidera iscriversi alla tua newsletter o ricevere aggiornamenti. Così trasformi un contatto “freddo” in uno “caldo” e consensato. Non continuare a inviare email promozionali a un lead freddo se non hai mai ottenuto un suo chiaro OK.
- Trasparenza e rispetto sin dal primo messaggio: Nella comunicazione iniziale, presentati chiaramente, spiega in una riga come hai ottenuto il suo riferimento (es. “ti ho trovato sul gruppo X di Facebook” oppure “ho visto il tuo profilo su Instagram”) e soprattutto offri subito qualcosa di valore prima di chiedere. Può essere un consiglio, un contenuto gratuito, un suggerimento personalizzato. Fai capire che hai fatto i compiti: la mail non deve sembrare una robaccia generata in serie. E ovviamente, includi sempre la possibilità di non ricevere più comunicazioni: è un obbligo di legge per le newsletter, ma io consiglio di metterlo anche nelle email one-to-one se sono parte di un’azione commerciale. Un semplice “P.S. Se preferisci che non ti contatti più, avvisami pure – non ci sono problemi” va già bene in un contesto B2B personale. In campagne più automatizzate, invece, inserisci il classico link di unsubscribe. Questo approccio trasparente costruisce fiducia: molte persone apprezzano l’onestà e, anche se non interessate, non ti segnaleranno come spam perché hai dato loro controllo.
- Proteggi i dati e rispetta i diritti: Una volta che hai raccolto indirizzi email, custodiscili con cura. Sei a tutti gli effetti un titolare del trattamento per quei dati, quindi applica misure di sicurezza: tienili in ambienti protetti, non lasciare file CSV pieni di email su desktop pubblici o su servizi cloud senza password. Inoltre, se qualcuno ti risponde chiedendo “Dove hai preso i miei dati?” o esercitando il diritto di cancellazione, devi essere pronto a fornire risposte ed eliminare i suoi dati. Anche per questo, come best practice, tieniti traccia della fonte da cui hai estratto ciascun contatto (es. “questo indirizzo proveniva dal profilo Instagram @xyz, raccolto in data X”). Ti aiuterà a dimostrare buona fede e a gestire eventuali richieste.
- Non ignorare i segnali: adattati rapidamente. Se le tue email scraping-based non funzionano – ad esempio hai tassi di apertura bassissimi o ricevi risposte negative – non insistere per orgoglio. Analizza cosa sbaglia: forse il targeting è errato, forse l’oggetto e il testo sono da rivedere. Magari stai provando ad approcciare un settore in cui le cold email non sono apprezzate. Ascolta il feedback (anche il silenzio è un feedback) e correggi il tiro. Ricorda, inoltre, che strumenti come Mailerfind offrono statistiche e a volte suggerimenti: usali per migliorare. Ad esempio, potresti scoprire che certi domini aziendali bloccano tutte le mail esterne: inutile continuare su quelli, meglio cambiare strategia (magari provare un contatto su LinkedIn piuttosto che via email, in quel caso).
- Frequenza e follow-up: mantienili ragionevoli. Un errore che fa scivolare nello spam è tempestare di messaggi chi non ti ha mai risposto. Il mio consiglio: non più di un paio di follow-up a distanza di giorni/settimane, e solo se hai qualcosa di nuovo da aggiungere. Se dopo 2-3 tentativi il contatto non reagisce, lasciagli pace. Invece, se qualcuno ha mostrato interesse ma poi è sparito, un promemoria può essere utile – ma sempre con garbo. Anche qui, molti tool (Mailerfind incluso) permettono di automatizzare follow-up condizionali (es. “se non apre la prima email entro 5 giorni, rimanda un secondo messaggio leggermente diverso”). Usali ma con moderazione: non fare 10 follow-up, otterresti l’effetto contrario.
- Rispetta i limiti tecnici (rate, volumi, etc.): Dal lato tecnico, per non incorrere in problemi, rispetta eventuali indicazioni del sito da cui scrapi (es. le sezioni permesse da robots.txt) e non sovraccaricare i server. Questo non è solo un discorso legale ma anche di netiquette: se lanci uno scraper che fa 100 richieste al secondo a un piccolo sito per raccogliere email, potresti mandarlo in crash – e ciò potrebbe effettivamente configurare un illecito (interruzione di servizio). Strumenti seri di scraping ti fanno impostare un delay tra le richieste. Inoltre, come già detto, se un sito dice chiaramente “vietato estrarre i nostri dati”, valuta se rischiare o chiedere un permesso. Ad esempio, potresti contattare l’amministratore di un forum chiedendo se puoi ottenere la lista email degli iscritti (magari offrendo qualcosa in cambio): spesso diranno di no, ma almeno hai evitato di farlo di nascosto. In generale, agisci con etica anche sul lato tecnico: non fare il “cattivo bot” che rovina l’esperienza altrui.
- Documenta il tuo processo: Potrebbe sembrare esagerato, ma tenere un registro delle attività di scraping e delle campagne derivate è utile. Segnati date, fonti, finalità, misure adottate. Questo è addirittura consigliato dal GDPR (art. 30, registro dei trattamenti) e dimostra accountability. Se mai qualcuno contestasse la tua attività, poter mostrare che l’hai pianificata con criterio e hai considerato gli aspetti privacy gioca a tuo favore. Anche solo per uso interno, queste note ti aiutano a replicare ciò che ha funzionato e a evitare ciò che ha fallito.
- Metti al centro le persone, non le tue esigenze: Questo è un principio quasi filosofico ma fondamentale. Se vedi gli indirizzi email solo come numeri o “obbiettivi da bombardare”, finirai per fare spam. Se invece ricordi che dietro ogni email c’è una persona con desideri, problemi, fastidi quotidiani come tutti noi, allora scriverai e agirai in maniera più empatica. L’email marketing efficace (anche quello a freddo) non consiste nel parlare a un indirizzo, ma a una persona reale. Quindi poniti sempre la domanda: “Questa email che sto per inviare, la apprezzerei io per primo se la ricevessi? Offre qualcosa di utile o è solo rumore?”. Questo ti aiuterà a mantenere un tono umano e a costruire relazioni invece che scocciature.
Con questi consigli, spero di averti fornito una panoramica completa e onesta su come conciliare le opportunità offerte dallo scraping di email con il rispetto delle normative e delle persone coinvolte. Lo scraping email può essere uno strumento potentissimo per freelance, marketer e imprenditori, ma va usato con intelligenza, tatto e rispetto delle regole. Farlo “by the book” richiede un po’ più di impegno rispetto al mandare spam a tappeto, ma i risultati sono di gran lunga migliori: contatti realmente interessati, reputazione pulita, niente beghe legali e anzi un vantaggio competitivo perché ti presenti da subito come un professionista serio.
Passiamo ora alle domande frequenti (FAQ) per ricapitolare i punti chiave e sciogliere eventuali ultimi dubbi specifici.
FAQ – Domande frequenti su email scraping, GDPR e normativa
Raccogliere indirizzi email pubblicati online è legale?
È legale raccogliere indirizzi email se questi sono pubblicamente visibili e non c’è un divieto esplicito (non stai violando sistemi di accesso). Tuttavia, usare quegli indirizzi per scopi di marketing senza consenso non è legale in Italia. Quindi: puoi anche copiare o estrarre email da un sito pubblico (in genere non ti verranno a denunciare per aver letto una pagina web), ma se poi mandi email promozionali a quei contatti senza permesso stai violando le norme anti-spam. Eccezioni: se li usi per fini personali, statistici o altri contesti non commerciali, o se l’interessato si aspetta quel contatto (es. ha pubblicato la mail dicendo “scrivetemi per informazioni”), il rischio legale è minimo. In sintesi, lo scraping in sé è generalmente lecito, l’invio di comunicazioni commerciali non richieste no.
Il GDPR permette lo scraping di dati personali?
Il GDPR non vieta espressamente il web scraping, ma impone che ogni trattamento di dati personali abbia una base giuridica e rispetti certi principi. Quindi se fai scraping di dati personali (email, nomi, ecc.), devi avere ad esempio il consenso degli interessati, oppure un altro fondamento (legittimo interesse, esecuzione di un contratto, ecc.) e devi informare le persone sui dati raccolti e sul loro utilizzo. Nel caso di scraping per finalità marketing, come spiegato, l’unica base valida è praticamente il consenso. Senza consenso, raccogliere e utilizzare quei dati “rappresenta una chiara infrazione del GDPR” secondo il Garante. Quindi il GDPR di per sé non punisce il fatto di usare un bot per raccogliere informazioni pubbliche, ma punisce l’uso di quelle informazioni in modo incompatibile con la privacy delle persone. Inoltre, se scrapi massivamente dati personali online, potresti ricadere nell’obbligo di valutazione d’impatto (DPIA) o altre misure previste dal GDPR per trattamenti su larga scala. In pratica: puoi fare scraping rispettando il GDPR solo se raccogli dati non personali, oppure se ottieni il consenso, oppure se poi usi i dati per finalità molto limitate (es. ricerca) e non identificative.
Posso inviare email promozionali a un’azienda o professionista senza consenso? (B2B)
In Italia, no, non è consentito inviare comunicazioni commerciali via email a nessuno (neanche aziende, enti o professionisti) senza aver ottenuto un previo consenso. Il nostro ordinamento equipara l’utente privato e quello professionale per quanto riguarda la tutela dalle comunicazioni indesiderate. Dunque, se prendi l’email di un’azienda dal suo sito e le mandi pubblicità, stai violando l’art.130 del Codice Privacy. L’unica eccezione è se quell’azienda è già tua cliente e rientri nel soft opt-in (offerte analoghe a quelle già acquistate). Va detto però che nella pratica le cold email B2B personalizzate sono tollerate, specialmente se inviate in modo individuale e pertinente. Ad esempio, contattare un potenziale partner commerciale con un’email non verrà quasi mai perseguito come spam, a meno che diventi molesto o massivo. Ma dal punto di vista strettamente legale, il consenso sarebbe richiesto anche per i destinatari “business”. Quindi il consiglio è: massima moderazione nel B2B e comportati come se valessero le stesse regole del B2C. Se fai campagne a tante aziende, meglio raccogliere consensi (es: inviti a iscriversi a una mailing list business). Se fai singoli approcci, assicurati che siano benvenuti e una tantum.
Cos’è il soft opt-in (o soft spam) in ambito email?
È l’eccezione alla regola del consenso per l’email marketing. Consente a un’azienda di inviare email promozionali ai propri clienti senza aver raccolto uno specifico consenso per quelle comunicazioni, a patto che:
- l’indirizzo email sia stato fornito direttamente dall’interessato nel contesto di una vendita di prodotto/servizio (es. me l’ha dato quando ha comprato da me);
- i messaggi riguardino prodotti o servizi simili a quelli già acquistati dal cliente (quindi niente offerte completamente diverse o di terzi);
- in ogni messaggio il destinatario abbia la possibilità di opt-out (disiscriversi) facilmente;
- quando hai raccolto l’email, hai informato la persona che l’avresti usata per inviargli offerte, dandogli modo di opporsi subito.
Questa eccezione, prevista dall’art. 130 comma 4 Codice Privacy, permette ad esempio a un e-commerce di mandare newsletter promozionali ai propri clienti senza dover chiedere il consenso per la newsletter (purché rispetti le condizioni sopra). È chiamata soft perché presuppone un rapporto già esistente e una sorta di “interesse soft” da parte del cliente a restare aggiornato. Importante: vale solo per i clienti attivi e per prodotti analoghi. Non puoi usare il soft opt-in per contatti che non ti hanno mai comprato nulla, né per rifilare qualsiasi cosa (deve esserci coerenza con l’acquisto fatto). Se hai dubbi, è più sicuro raccogliere il consenso esplicito comunque.
Quali sanzioni si rischiano con lo scraping illegale e lo spam?
Le violazioni possono portare a sanzioni amministrative pesanti. Per spam via email, il Garante Privacy può comminare multe in base al GDPR: per trattamenti senza base legale (come l’invio di marketing senza consenso) la sanzione massima teorica è 20 milioni di euro o 4% del fatturato mondiale annuo, ma nella pratica le multe dipendono dalla gravità, numero di soggetti coinvolti, eventuali precedenti, cooperazione, ecc. Ad esempio, ci sono state multe da alcune migliaia di euro per piccole attività sorprese a fare spam, fino a centinaia di migliaia per operazioni di marketing massivo scorretto. Oltre alle multe del Garante, ricorda che il destinatario infastidito potrebbe agire legalmente: in teoria può fare causa per uso illecito dei dati o, più concretamente, può segnalare lo spam ai provider email, portando al blocco del tuo account o dominio. Un’altra conseguenza seria è il danno reputazionale: se vieni etichettato come spammer, i tuoi messaggi futuri finiranno automaticamente in spam, vanificando ogni sforzo di email marketing (anche le comunicazioni legittime). Nei casi estremi, se per fare scraping violi sistemi informatici protetti, si potrebbe configurare reato penale (accesso abusivo a sistema, art. 615-ter c.p.). Ma di solito lo scenario è: multa + ordine di cancellare i dati + divieto di ulteriore uso se ti pizzicano a fare spam con liste scrapate. Meglio evitare del tutto.
Come fare email scraping senza trasformarlo in spam?
Il segreto sta nel farlo con criterio, in modo mirato e rispettoso. In breve:
- Raccogli indirizzi solo di persone potenzialmente interessate a ciò che offri (target mirato).
- Contattale con messaggi personalizzati e di valore, non con mailing di massa anonime.
- Presentati onestamente e spiega perché scrivi proprio a loro.
- Includi sempre la possibilità di non ricevere più mail (unsubscribe).
- Non esagerare con la frequenza: se non rispondono, non continuare a tartassarli.
- Appena possibile, ottieni un consenso esplicito: ad esempio invitandoli a iscriversi alla tua newsletter, così le successive comunicazioni saranno legittime al 100%.
- Gestisci i dati correttamente: verifica le email (per evitare bounce), non mandare a indirizzi inattivi, tieni la lista pulita dai disinteressati.
In pratica, devi comportarti quasi come se avessi già un rapporto di fiducia, pur sapendo che parti a freddo. Lo scopo del primo contatto non dovrebbe essere vendere subito, ma instaurare un dialogo o ottenere il permesso a proseguire la conversazione. Seguendo queste linee guida, puoi sfruttare lo scraping come punto di partenza per costruire relazioni professionali, senza fare spam. Certo, richiede più lavoro di un mailing di massa, ma i risultati (se hai un buon prodotto) ti daranno ragione.
Mailerfind è conforme al GDPR e alle norme anti-spam?
Mailerfind, di per sé, è uno strumento. Come tale, è tanto conforme quanto lo è l’uso che ne fa l’utente. Il software in sé raccoglie dati pubblici (quindi non viola accessi o privacy by design) e fornisce mezzi per inviare email con buone pratiche (inserisce link di disiscrizione, permette volumi controllati, ecc.). Mailerfind dichiara sul proprio sito di voler supportare uno scraping etico e sicuro. Tuttavia, se un utente usasse Mailerfind per estrarre 10.000 email e inviare spam indiscriminato, quell’utente starebbe comunque violando la legge, e Mailerfind potrebbe sospendergli l’account per uso improprio. Al contrario, se usi Mailerfind come descritto in questa guida – target mirati, messaggi personalizzati, rispetto degli opt-out – allora stai sfruttando lo strumento in modo conforme e puoi trarne vantaggio senza problemi. In sintesi: Mailerfind facilita la conformità, ma la responsabilità rimane tua. Personalmente, trovo che la piattaforma aiuti molto a rimanere nell’ambito lecito, perché integra subito ciò che serve (es. gestisce le cancellazioni automatiche, verifica i contatti, etc.). Dunque sì, Mailerfind può essere usato in modo conforme al GDPR e alle normative sull’email marketing, purché tu segua le linee guida di compliance. Non è una bacchetta magica che rende legale lo spam, ma un attrezzo potente che, nelle mani di un marketer attento, permette di fare lead generation rispettosa ed efficace.
Spero che questa guida ti abbia chiarito definitivamente se e come lo scraping email può essere legale. Abbiamo esplorato sia gli aspetti normativi che quelli pratici/strategici, andando oltre le solite informazioni superficiali che si trovano online. Come hai visto, la legalità dipende dall’uso: lo scraping in sé non è vietato, ma va inserito in una strategia rispettosa di privacy e normative. In prima persona, ti ho mostrato come è possibile conciliare le esigenze di un marketer freelance (che vuole trovare nuovi clienti) con l’adesione alle regole e all’etica professionale.
Alla fine dei conti, il successo nel digital marketing non si ottiene aggirando le leggi, ma lavorando in armonia con esse. Usare strumenti innovativi come Mailerfind può darti un vantaggio competitivo enorme, purché tu sia consapevole di come li usi. Se seguirai i consigli condivisi, potrai sfruttare lo scraping di email per far crescere il tuo business in modo sicuro, legale e sostenibile nel tempo. Buon lavoro e buona raccolta di lead – etica!
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